Havel: il mondo naturale

Il protagonista di oggi: un virus  inatteso,  che contesta la pretesa di “un assoluto nuovo, creato dagli uomini, non più misterioso, liberato dai “capricci” della soggettività e quindi  impersonale e inumano, vale a dire l’assoluto della cosiddetta oggettività, della conoscenza razionale oggettiva, del progetto scientifico del mondo”.

Un brano di Vaclav Havel, da L’uomo e il potere, in L’altra Europa, Anno X, maggio-giugno 1985

Una ciminiera che inquina il cielo non è solo un deplorevole lapsus della tecnica che non avrebbe tenuto conto del fattore  ecologico.  E’ qualcosa di più: è il simbolo di un’epoca che cerca di valicare i confini del mondo naturale e le sue norme e di fare di quel mondo una cosa del tutto privata, una questione di opinioni soggettive, di sentimenti (…) “puramente individuali”. Un’epoca che nega l’importanza dell’esperienza personale – inclusa quella del mistero e dell’assoluto – e che al posto dell’assoluto personalmente sperimentato come misura del mondo pone un assoluto nuovo, creato dagli uomini, non più misterioso, liberato dai “capricci” della soggettività e quindi  impersonale e inumano, vale a dire l’assoluto della cosiddetta oggettività, della conoscenza razionale oggettiva, del progetto scientifico del mondo. La scienza moderna (…) considera il mondo naturale solo una prigione di pregiudizi, da cui occorre uscire per giungere alla luce della verità oggettivamente verificata (…). E così essa distrugge, in quanto lo considera pura finzione, anche il fondamento proprio di questo mondo naturale: uccide Dio e si insedia sul suo trono vacante per essere ormai  la sola padrona dell’ordine dell’essere e l’unica legittima amministratrice.  Il mondo naturale è il mondo che conosce i confini tra ciò che ci è familiare e di cui dobbiamo prenderci cura e ciò che è oltre quell’orizzonte, davanti a cui dobbiamo solo umilmente inchinarci perché ha il carattere del mistero (…). E’ il terreno delle nostre gioie e dei nostri dolori irripetibili, incomunicabili e inalienabili; il mondo in cui, attraverso cui e di cui siamo in qualche modo responsabili; il mondo della nostra responsabilità personale. Categorie come, per esempio, giustizia, onore, tradimento amicizia, infedeltà, coraggio o compassione hanno in questo mondo un contenuto concreto, legato a uomini concreti e molto importante per la vita concreta; insomma hanno ancora un peso. L’uomo non è Dio. E giocare a fare il dio si ritorce crudelmente contro di lui. Egli ha abolito l’orizzonte assoluto al quale rapportarsi, ha rifiutato la propria personale  pre-oggettiva esperienza del mondo e ha relegato nella sala da bagno della propria intimità la coscienza personale e la coscienza morale. L’uomo dell’era scientifica (…) si è sottratto alla propria responsabilità qualificandola come “illusione della soggettività” e al posto di tutto questo ha installato l’illusione che oggi appare più pericolosa: la  finzione  di una oggettività sganciata dall’umanità concreta, l’ipotesi di una comprensione razionale dell’universo, lo schema astratto della “necessità storica” e, infine, la visione di un “benessere generale” che può essere determinato tramite calcoli puramente scientifici e raggiunto con mezzi puramente meccanici, un “benessere generale” che è sufficiente inventare negli istituti di ricerca e trasformare poi in realtà nelle officine dell’industria e della burocrazia.  E se questa illusione richiederà il sacrificio di milioni di persone in campi di concentramento scientificamente diretti, non è certo questo che inquieterà “l’uomo moderno” (a meno che il caso non conduca lui stesso in uno di tali campi, e la vita che lì si conduce non lo rigetti bruscamente nel mondo naturale). Non è certo questo che l’inquieterà perché il fenomeno della compassione personale per il prossimo appartiene al mondo ormai abolito dei pregiudizi personali, al mondo che ha dovuto cedere il passo alla Scienza, all’Oggettività, alla Necessità storica, alla Tecnica, al Sistema e all’Apparato; e questi non possono provare inquietudine perché non sono personali.  Sono astratti e anonimi, sempre utilitari e, per questo, sempre  a priori  innocenti. E che ne sarà del futuro? Chi può interessarsene personalmente, chi proverà inquietudine personale per esso, dal momento che lo sguardo alle cose  sub specie aeternitatis è stato anch’esso relegato nella sala da bagno dell’intimità, se non addirittura nel mondo delle favole? E il politico moderno? Egli non ha ormai alcuna ragione personale per occuparsi di una cosa del genere, soprattutto se questo dovesse compromettere le sue possibilità di essere eletto, almeno fino a quando nel suo paese si tengono ancora elezioni.


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